Pseudonimo di
Paolo Caliari. Pittore italiano. Già garzone e aiuto
di Antonio Badile nel 1541, accolse nella sua formazione svariate suggestioni e
contributi: le novità cromatiche di scuola veneziana, l'elegante
manierismo del Parmigianino, l'ampiezza nella resa della figura umana di Giulio
Romano, pluralità di influenze che si accordarono con armonia nella
pittura di
P.V, eminentemente decorativa e orientata alla ricchezza
cromatica e scenografica. La sua prima opera datata è la
pala
Bevilacqua (1548, Verona, Museo civico); in essa, come in tutte le opere del
periodo giovanile, traspare la tendenza manierista di scuola romana ed emiliana,
di cui egli però sfruttò, alieno da eccessi di intellettualismo,
la libera e sontuosa resa cromatica. Nel 1551 decorò villa Soranzo,
presso Castelfranco, e nel 1552 dipinse la pala delle
Tentazioni di
Sant'Antonio (Museo di Caen), su commissione del cardinale Gonzaga. Nel 1553
ebbe inizio il suo primo soggiorno veneziano, durante il quale ottenne la
commissione per le decorazioni del palazzo ducale, dipingendo i soffitti della
sala del Consiglio dei Dieci e della sala dei Tre Capi del Consiglio. Questi
soggetti mitologici e allegorici (
Giunone riversa i suoi tesori su
Venezia,
Giovinezza,
Vecchiaia, ecc.) rappresentano forse il
capolavoro del periodo, grazie a un senso raffinato dell'accordo cromatico,
giocato su gamme fredde e molto chiare, che si differenziava dal tonalismo caldo
di Tiziano o dal chiaroscuro di Tintoretto. A ciò si aggiunse una capace
resa dei valori spaziali, scanditi nella ritmata solennità delle figure.
Dopo un breve soggiorno a Verona, nel 1555 iniziò i lavori presso la
chiesa di San Sebastiano che affrescò interamente, a più riprese e
fino al 1570, dal soffitto della sacrestia (
Incoronazione di Maria,
Evangelisti), a quello della chiesa (
Storie di Ester), alle pareti
dell'interno (
Martirio di san Sebastiano,
Madonna in gloria con san
Sebastiano ed altri santi). Accanto alla consueta sapienza decorativa e al
senso innato della disposizione delle masse, egli mostrò di possedere una
tavolozza sempre più ampia, che comprendeva toni argentei e preziosi, con
effetti cangianti soprattutto nei panneggi. Nel nuovo e lungo periodo veneziano,
che andò dal 1557 al 1566, anno in cui tornò a Verona per sposare
Elena, figlia di A. Badile,
P.V. eseguì numerosi affreschi, per la
maggior parte perduti, in palazzi veneziani. Possiamo ancora ammirarne dei
frammenti in casa Trevisani a Murano, accanto al ciclo (realizzato prima del
1560) della palladiana Villa Barbaro: qui l'artista volle sottolineare la
luminosità dell'architettura creando una decorazione aperta su spazi
immaginari e illusori, rivaleggiando con i paesaggi reali che si potevano
scorgere al di là delle finestre. Le numerose pale di argomento sacro e i
ritratti, eseguiti nel corso di quegli anni, segnarono lo svolgersi di un
continuo affinamento nell'orientamento decorativo e cromatico, in cui anche gli
spunti naturalistici si piegavano alle finalità ornamentali. Questa
tendenza trovò la sua massima espressione nella serie delle
Cene,
soggetto che consentiva contemporaneamente la realizzazione delle
capacità ritrattistiche, scenografiche, narrative e policromatiche
dell'artista. Tra le più famose ricordiamo
Nozze di Cana (1563,
Parigi, Louvre),
Cena in Emmaus (1560, Parigi, Louvre),
Cena in casa
di Levi (1573, Venezia, Accademia),
Cena in casa di Simone (1560,
Torino, Galleria Sabauda). La ricerca della massima ricchezza cromatica e
scenografica portò
P.V., talvolta, a trascurare per essa le
convenzioni legate alla rappresentazioni di argomento religioso, tanto che,
nell'ambito culturale della Controriforma, incorse anche in un processo da parte
dell'Inquisizione. Dopo l'incendio del 1576, partecipò ai lavori di
restauro del palazzo ducale, per il quale eseguì delle tele di argomento
allegorico (
Virtù e allegorie di Venezia), la celeberrima
Battaglia di Lepanto e la decorazione della Sala Maggiore del Consiglio
(
Trionfo di Venezia), tutte caratterizzate da un colore particolarmente
vivace. Le opere dell'ultimo decennio di attività, invece, avvicinarono
progressivamente il maestro a tonalità più morbide, paragonabili
nella scuola colorista veneziana a quelle della corrente di Tintoretto e
Tiziano, e anticiparono perfino, per quanto riguardava il senso luministico, una
sensibilità prebarocca: si vedano le differenti redazioni degli
Amori
di Venere e Marte (New York, Metropolitan Museum; Torino, Galleria Sabauda),
Venere e Adone (Madrid, Prado),
Lucrezia (Vienna,
Kunsthistorisches Museum) (Verona 1528 - Venezia 1588).